sul Bíos theoretikós

Le ragioni di un convegno

Giulio Preti (Pavia, 9 ottobre 1911 - Djerba, 28 luglio 1972) rappresenta una delle voci tra le più significative, di sicuro livello europeo, della filosofia italiana della seconda metà del Novecento. Formatosi nell'ambito della "scuola di Milano", animata da un pensatore e suscitatore di idee come Antonio Banfi (il «Cassirer italiano»), Preti ha presto iniziato a confrontarsi con le più importanti voci filosofiche del suo tempo, perseguendo un suo autonomo progetto filosofico. Il suo progetto, basato su un razionalismo critico di ascendenza kantiana-husserliana, lo ha indotto, fin dalle sue prime ricerche, a contaminare criticamente e felicemente differenti tradizioni filosofiche. Preti amava soprattutto le avventure del pensiero, le movenze concettuali, le correnti, i movimenti di idee, donde la sua costante esigenza critica di confrontarsi, assai liberamente, con varie tradizioni concettuali: dalla fenomenologia del primo Husserl alla complessa tradizione dell'empirismo logico (non solo la fase viennese di Carnap, Schlick, Neurath, ma anche quella americana di Hempel, Morris e Strawson), dalla considerazione del pragmatismo di Dewey, alla rivalutazione critica della dimensione pratico-sensibile presente nella prima riflessione di Marx, dallo studio del pensiero di un filosofo come Russell (e anche di Wittgenstein), alla considerazione dell'evoluzionismo di Darwin e dei suoi nessi con il mondo della prassi umana effettiva, dall'indagine delle strutture del mondo dei valori (à la Scheler e à la Simmel) alla delineazione del ruolo critico della ragione in ambito scientifico, axiologico, etico, letterario ed estetico (con indagini su Leibniz, Pascal, i Giansenisti, Newton, Hume, Schelling, etc.).

L'intreccio problematico e critico di tutte queste, pur differenti, istanze teoretiche ha così costituito, perlomeno nel corso dei decenni, l'orizzonte privilegiato dell'inquieta riflessione pretiana, le cui radici più profonde sono state da lui stesso rintracciate, pascalianamente, nella genesi della modernità occidentale, proprio in quel «secolo di ferro» del XVII che ha visto la nascita della scienza moderna e, anche, delle idee-guida della società civile della modernità che, ben presto, si affermerà in Europa. Né Preti si è fermato alla modernità perché proprio le sue disamine sulla logica medievale (per non parlare della logica stoica antica), gli hanno permesso di individuare una preziosa (ma affatto inedita!) storia carsica del neorealismo logico-fenomenologico, entro la quale la stessa tradizione del pensiero occidentale finisce per ricevere nuova e feconda luce critica.

Complessivamente la riflessione di Preti ha compiuto uno slittamento concettuale dalla riflessione pragmatica sull'esperienza sensibile, allo studio fenomenologico della “metafisica critica” (incentrata sulla considerazione del ruolo euristico delle ontologie regionali entro i differenti ed autonomi ambiti del sapere, umanistico e scientifico). Il pensiero di Preti, la sua vocazione per il bios theoretikós non ha infatti mai conosciuto alcun «pensionamento epistemologico», ma si è sempre svolto secondo un intenso programma di ricerca. Dal 1954 Preti ha insegnato a Firenze, vivendo, sempre più, una profonda solitudine che non era solo esistenziale, ma anche culturale e teoretica. In questa situazione, appunto nell'isolamento di Firenze, la nostalgia di Preti per la sua Milano (per la Milano civile e banfiana, città europea di lavoro e di riflessione aperta), è sempre più cresciuta. Proprio perché la sua maturazione si è sempre svolta in profonda sintonia critica con la storia e la complessa tradizione (culturale, civile, economica e sociale) della vita regionale lombarda, una terra, una tradizione e una società civile con una vocazione specifica per il lavoro tecnologico e scientifico dalla quale il pensatore pavese ha sempre attinto (anche a livello esistenziale) la linfa più vitale della sua stessa riflessione europea, che lo ha indotto a confrontarsi con le voci più autorevoli sia del dibattito a lui contemporaneo, sia con le “alte torri” della storia del pensiero (antico, medievale e moderno). Non è del resto un caso che proprio a Milano e a Pavia Preti abbia partecipato, in prima persona, alla lotta di Liberazione per l'abbattimento della dittatura fascista. E sempre a Milano Preti ha collaborato al movimento antifascista di Corrente, alle discussioni suscitate dal Politecnico di Vittorini, alla vita di una piccola ma significativa rivista come La Cittadella di Bergamo, nonché a svariate altre iniziative editoriali (con Mondadori, Garzanti, Bompiani, Bocca e anche con le preziose Edizioni Minuziano, allora finanziate da un industriale varesino come la ditta Malerba).

In questa articolata prospettiva, in questo simposio Preti viene allora studiato entro la continuità di una precisa tradizione filosofica - quella occidentale del razionalismo critico (lombardo ed europeo) - che renderà tanto più efficace il nostro lavoro (ad un tempo storiografico e teoretico) quanto più sarà criticamente consapevole della continuità vivente della tradizione entro la quale Preti si è formato ed ha operato.

Il convegno si svolge all'Insubria, a Varese, proprio perché il Centro Internazionale Insubrico, intitolato a "Carlo Cattaneo" e a "Giulio Preti", dispone di tutto l'archivio dei manoscritti, dei quaderni e delle carte inedite del filosofo pavese. Per questa ragione molti interventi e molti contributi prenderanno le mosse proprio da alcuni scritti inediti pretiani, onde dar conto del preciso programma di ricerca filosofico pretiano, tenendo presenti molti aspetti, non ancora studiati, affatto inediti oppure anche del tutto sconosciuti, della sua riflessione filosofica più matura e approfondita. Il che costituirà certamente una novità primaria di questo simposio, volto a ricostruire criticamente l'articolata complessità del programma di ricerca filosofico pretiano, scandagliando molteplici aspetti sconosciuti del suo «onesto mestiere» del filosofare che si è sempre dipanato, banfianamente, con «hostinato rigore» concettuale, morale e civile.

Questo spiega anche perché, in terzo luogo, il simposio si sia allora necessariamente dilatato, prendendo in considerazione anche la peculiare tradizione complessiva della «scuola di Milano», onde poter studiare i nessi tra filosofia, scienza, letteratura e poesia così come si sono intrecciati in quello straordinario gruppo di allievi di Banfi che ha fornito originali e molteplici contributi a campi affatto disparati. La trasversalità critica di questa indagine, spesso affidata, accanto alla presenza di autorevoli e noti studiosi e pensatori di varia ascendenza, alla voce di nuove generazioni di giovani studiosi e di vari ricercatori, consentirà così di meglio riflettere, con nuovo taglio critico-prospettico, nutrito dallo studio di nuovi documenti inediti, sulla vitalità complessiva di una tradizione di pensiero che, pur non escludendo discontinuità, “salti” e anche “rotture” specifiche, si è tuttavia svolta entro la continuità critica di fondo di una tradizione che ora può rendere appunto più efficace il nostro stesso autonomo lavoro teoretico e di riflessione, il nostro bios theoretikós, perlomeno nella misura in cui quest'ultimo sarà consapevole, per dirla con Preti, di quella «vivente continuità della tradizione» entro la quale sempre opera.